
SPEZZARE LE CATENE
di Nicola Perrini
Nel libro “Memorie di quando ero italiano” del 1994, Nicola Zitara ci spiega in maniera semplice e lineare come la fondazione di uno Stato del Sud sia l’unico modo per risolvere la cosiddetta “questione meridionale”.
Un separatismo o a parer mio una forte autonomia federale, che spezzerebbe le catene che tengono bloccato il Sud e libererebbe le enormi energie sopite nella gente meridionale. Una transizione che ci costerebbe nel breve periodo probabilmente lacrime e sangue, ma che sarebbe risolutiva ed aprirebbe al popolo meridionale le prospettive che la sua storia ed il suo grado di civiltà gli assegnano.
Interessante inoltre la critica al capitalismo liberista attualmente imperante, che andrebbe sicuramente superato per approdare a sistemi di governo più umani, che tengano conto non soltanto del PIL ma piuttosto del benessere della gente e dell’ambiente, oltre che realizzare la piena occupazione. Per questo forme di associazionismo e cooperativismo produttivo andrebbero spiegate ed incoraggiate.
Ecco un breve estratto del libro:
<<……il mio separatismo non è un sentimento, ma un progetto politico. L'area meridionale d'Italia o, se meglio vogliamo definirla, la Magna Grecia o Megale Hellas comprende un paese con ventidue milioni di abitanti e forse, solo fra le generazioni viventi, otto milioni d'emigrati. Nel complesso una nazione grande e popolosa, i cui componenti, quanto a preparazione e attitudine professionale alla produzione industriale, potrebbero giocare in serie A. Difatti i produttori meridionali sono comandati – come operai, tecnici e come professionisti – dal capitalismo forestiero, sia esso padano, sia esso propriamente straniero: svizzero tedesco, americano, ecc. Ma il Sud della penisola italiana non possiede soltanto le leve umane per essere una nazione all'avanguardia tecnologica; avrebbe (ha) anche adeguate risorse finanziarie per costruirsi lo stadio e giocare il campionato mondiale: per fondare cioè un suo sistema produttivo moderno. Si tratta di centinaia di migliaia di miliardi riversati improficuamente per il Sud, nei sistema creditizio "nazionale" e presso le Poste e il Tesoro italiani. Per non contare poi - in quanto indesiderato - il milione circa di miliardi imboscati dalla mafia nei sistemi finanziari e produttivi capitali-stici: quello nazionale, quello comunitario e quello dell'area del dollaro; danari che vengono tranquillamente e senza scandalo alcuno manovrati e impiegati dal sistema finanziario mondiale e dalle più "limpide" fra le banche centrali occidentali.
Quest'insieme, tecnicamente informe e socialmente infruttifero per chi l'origina, potrà prendere forma socialmente produttiva alla sola condizione che venga costruita una squadra, che nasca uno Stato megaellenico (dell'economia meridionale), affinché lo organizzi e lo prepari alla competizione; in sostanza che lo rivolga alla produzione. La connessione tra decollo industriale e indipendenza politica è ormai una nozione corrente e pacifica a livello di storia economica; lo è persino nelle università più fedeli alla lezione liberal-capitalistica, ivi incluse le accademie bolognese, milanese e romana. Fra la gente che non è rintronata dal falso storico assurto a rito patriottico, non v'è più dubbio alcuno che gli ostacoli all'industrializzazione del Sud vengono tutti dal sistema statale e politico italiano, il quale è strutturato in modo che gli stessi automatismi di mercato si incaricano di bloccare ogni tentativo meridionale.
L'antimeridionalismo organico del sistema politico italiano, i cui caratteri non sempre sono chiaramente definibili al Nord, assume invece al Sud un'evidente collocazione classista. La classe schierata è quella dei mediatori locali della dominazione padana, che in cambio del tradimento ricevono il privilegio di stare "accomodati" in mezzo al disastro; in particolare la piccola e media borghesia impiegatizia e professionistica, che gode di stipendi e tariffe professionali superiori a quelli che potrebbe ottenere se il Sud sottosviluppato fosse indipendente. Anche l'area dell'occupazione operaia ha - in virtù della sua cittadinanza sindacale italiana - una condizione di privilegio rispetto alla circostante disoccupazione, sottoccupazione, lumpen-occupazione nel settore agricolo, nel terziario tradizionale e dovunque scorra il fiume nero dell'industria sommersa. Ma la causa vera dell'impotenza meridionale sta nel discredito di cui l'Italia sabauda massona e liberale ha circondato l'uomo del Sud. E ancor di più nell'interiorizzazione di siffatta antropologia colonialista che a tutti i costi ci vuole inetti. Ci han fatti ascari e tali ci sentiamo. L'intolleranza antimeridionale è un gioco, televisivo e no, nel quale l'Italia razzista è riuscita a coinvolgere non solo l'intero popolo nazionale, ma tutto l'Occidente. Meridionale non è più una condizione ma un marchio infamante. E per giunta auto assunto proprio da chi è infamato. Secondo gli unitari, l'ipotetica ricostruzione politica e culturale del Meridione - la conclusione della cosiddetta "questione meridionale" - dovrebbe partire, ahimè, da questa coscienza degradata oltre ogni umano limite. Ancora una volta un popolo di morti risorgimenta miracolosamente. Ma questa volta sono assenti gli zuavi di Napoleone III e le sterline di Sua Maestà Britannica, cosicché l'idea di liberazione che hanno i borghesi meridionali somiglia a un singhiozzo. Comunque sia, non conosco le tecniche della resurrezione, meno che mai quella politica. Credo invece di aver capito che, se è vero che la filosofia liberal-capitalistica ha dato le armi della vittoria a chi domina il Sud e se è vero che il "libero" mercato capitalistico è la palla di piombo che Io tiene schiavo, non sarà certamente attraverso i percorsi dell'iniziativa capitalistica che noi meridionali riconquisteremo la nostra libertà economica, e non sarà con l'ingresso nell'Europa capitalistica che metteremo nuove basi alla nostra identità individuale e collettiva.
Il mercato capitalistico è divenuto un gioco per vecchi birbanti e per bari incalliti, per corpi sociali che hanno imparato a truffare a man bassa: per gente capace di ribaltare, con tronfia coscienza, in colpa dei truffati la fortuna delle proprie gesta e le proprie responsabilità civili. Noi meridionali non abbiamo avuto modo di diventare così esperti: non avremmo dunque avvenire alcuno come bari apprendisti. Oltre tutto le carte truccate le tiene sempre il banco. La storia ci assegna un diverso percorso, in cui non credo ci saranno risparmiate le lacrime e il sangue>>.